Il peggior disastro ambientale del Brasile e la COP21 così distanti tra loro

rio_doce_8MONDO. 30 NOV. C’è voluto quasi un mese affinché il web riuscisse a sfondare il silenzio mondiale creatosi intorno al più grande disastro ambientale, degli ultimi decenni, in Brasile.
Il 5 novembre due dighe, contenenti rifiuti tossici, materiale di scarto per l’estrazione mineraria, sono crollate, uccidendo 17 persone e riversando 62 milioni di metri cubi di fanghi velenosi, una quantità equivalente a circa 25.000 piscine, nel fiume Rio Doce, il fiume dolce, distruggendo tutto lungo il percorso, animali e piante, fino ad arrivare alla foce, nell’oceano Atlantico, il 20 novembre.
La Samarco Mineração, società titolare delle concessioni minerarie, ha dichiarato che i liquami non sono dannosi ma sia L’ONU, che il Ministro dell’Ambiente brasiliano, sono di tutt’altro avviso. E basta guardare le immagini che arrivano dalla valle per percepire, almeno in parte, la catastrofe che si sta diffondendo in tutto il sud-est del Brasile.
Non sono solo gli Indios infatti, a piangere la morte del fiume sacro. Contadini e allevatori stanno perdendo tutto. Gli animali del fiume, i primi colpiti dall’inquinamento, stanno lentamente morendo di asfissia o per intossicazione. Toccherà poi a piante e fauna terrestre, private del proprio nutrimento, a crollare una dopo l’altra, se non riusciranno a migrare verso territori più sicuri, come avverrà probabilmente per gran parte della popolazione locale, che già patisce la fame e la sete, per le falde contaminate.
A nulla sono serviti gli sforzi dell’esercito per arginare la marea arancione arrivata lungo le pescose coste dell’Espírito Santo, estendendosi per oltre dieci chilometri nell’oceano. A rischio è una buona parte dell’Atlantico che, con le sue correnti, porterà ovunque le micidiali sostanze tossiche.
Terrorismo e attentati hanno tenuto i media molto impegnati e poco tempo è stato dedicato al disastro in corso, ma a margine della Cop21, che comincia oggi a Parigi, non si può negare che una guerra più nascosta ma inesorabile e dirompente, sta coinvolgendo il mondo intero. È una guerra uomo contro uomo dove, per ora, a pagarne il prezzo più grande è il pianeta intero.

Ed osservando il video ci si domanda se le lacrime dell’uomo che osserva impotente i pesci galleggiare nel fango e il fiume soffocare, guardando di riflesso il proprio lavoro e la propria fonte di sostentamento svanire, non sia simile al pianto di un civile, travolto suo malgrado in uno scontro fratricida, in un altro continente, cosi lontano e vicino allo stesso tempo.
In vent’anni sono state circa 600 mila le vittime causate dai disastri ambientali, un numero superiore a quello dovuto ai diversi combattimenti, nel mondo, dalla fine della guerra fredda.
Ci vorranno decenni, se possibile, per ripristinare almeno in parte il naturale ecosistema, esattamente come nei territori di guerra, con campi minati che continuano a mietere vittime anche dopo il flebile stop ai combattimenti.
Ma come spesso avviene, i costi ingenti e un Governo accomodante, in questo caso verso la multinazionale mineraria, non danno grandi speranze. La terra e i suoi figli piangono lacrime color ruggine mentre i potenti del mondo, alla Cop21, discutono su come limitare i danni, di qualche grado, senza ammettere la realtà dei fatti e confortati dal disinteresse globale.
Una verità trasbordante come quella marea rossa, ossia che non si è ancora arrivati all’emergenza senza ritorno e il coraggio di cambiare davvero viene meno.

Arianna Codato

Il disastro ambientale del Rio Doce in Brasile
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